BUREAU OF PUBLIC SECRETS


 

 

NEL FUOCO INCROCIATO
Avventure di un Rivoluzionario Vietnamita

 

 

Introduzione


“La storia è scritta dai vincitori.” Con la spettacolarizzazione sempre più dominante della società moderna, questo truismo è diventato più vero che mai. Le rivolte più radicali non solo vengono stroncate fisicamente, esse sono falsificate, banalizzate, e sepolte sotto un diluvio continuo di frammenti di “informazioni” superficiali ed effimere, al punto tale che la maggior parte delle persone addirittura non sanno nemmeno che esse sono avvenute.

Nel fuoco incrociato di Ngo Van è da annoverare tra le più illuminanti rivelazioni di questa storia repressa e nascosta, un’opera degna di valore che merita un posto accanto a capolavori come La Rivoluzione Sconosciuta di Voline e La Tragedia della Rivoluzione Cinese di Harold Isaacs. Inoltre, è anche un documento umano assai commovente: i drammatici eventi politici s’intrecciano con preoccupazioni personali intime, proprio come lo sono sempre in realtà. A questo riguardo, il libro di Van è forse più simile all’ Omaggio alla Catalonia di Orwell o a Memorie di un Rivoluzionario di Victor Serge.

La guerra del Vietnam in due fasi, contro l’occupazione francese e poi americana (1945-1975), è ancora abbastanza conosciuta; ma quasi nessuno è a conoscenza delle lunghe e complesse lotte che l’hanno preceduta, compreso il fatto che molte di queste lotte furono ispirate da un movimento trotzkista indigeno che spesso era più popolare e più influente del movimento stalinista rivale guidato da Ho Chi Minh. Mentre il Partito comunista di Ho seguiva servilmente in maniera passiva le linee politiche costantemente mutevoli impostegli dai suoi padroni del Cremlino (che spesso richiedevano delle alleanze con i proprietari terrieri autoctoni e con la borghesia locale in nome dell’ “unità nazionale”, o talvolta persino con il regime coloniale francese quando la Francia si trovò ad essere alleata con la Russia), le posizioni dei Trotzkisti vietnamiti erano invece più ferme, poiché esprimevano prospettive radicali in maniera più coerente. La situazione era in qualche modo analoga a quanto stava succedendo in Spagna durante lo stesso periodo. In entrambi i casi, un movimento radicale popolare stava combattendo contro forze straniere e reazionarie nonostante nel frattempo venisse pugnalato alle spalle dagli Stalinisti. Una differenza significativa era che in Spagna il movimento popolare fu prevalentemente anarchico, mentre l’anarchismo era praticamente sconosciuto in Vietnam.* Perciò, molti ribelli vietnamiti, com’è comprensibile, vedevano il movimento trotzkista come la sola alternativa, l’unico movimento che lottava contemporaneamente contro il colonialismo, il capitalismo e lo Stalinismo.

In ogni caso, le rivolte popolari spontanee spesso hanno bypassato tutte le ideologie ufficiali, rimettendo implicitamente in discussione l’intero ordine sociale, anche quando le loro esigenze esplicite erano molto più minimali. Quello che emerge è la disponibilità della gente comune a creare le proprie forme d’azione — i lavoratori fondando sindacati clandestini ed effettuando scioperi illegali, i contadini appropriandosi della terra e formando dei “soviet”, i prigionieri organizzando reti di resistenza, le donne evadendo dai loro ruoli tradizionali, gli studenti e gli insegnanti facendo un buon uso sovversivo del loro sapere, i quartieri organizzandosi in “comitati popolari”, i tranvieri creando una milizia indipendente, e la cosa più sorprendente di tutte è che 30.000 minatori di carbone avevano formato una “Comune” consiliarista che riuscì a resistere per tre mesi prima di essere distrutta dagli stalinisti. Queste non sono le proverbiali “masse” docilmente in attesa di qualche leader o “partito d’avanguardia” che ordini loro cosa fare. Ma sono i partecipanti di uno dei movimenti rivoluzionari più ad ampio raggio e più perseveranti del XX° secolo.

Ngo Van, da giovane, aveva preso parte a questo movimento, e nella sua vecchiaia, mezzo secolo più tardi, è diventato il cronista principale delle sue notevoli vittorie e delle sue tragiche sconfitte.

Nella prima parte di questo libro, Van racconta quelle che furono le sue esperienze crescendo in un villaggio di contadini; lavorando a Saigon da adolescente; scoprendo la vera natura del sistema coloniale; diventando consapevole dei movimenti che lottavano contro di esso; cercando con precauzione di prendere contatto con altri dissidenti; assistendo alle riunioni clandestine; stabilendo delle reti sotterranee; disseminando pubblicazioni radicali; organizzando scioperi e proteste; partecipando alle insurrezioni e alle guerre partigiane; essendo stato imprigionato e torturato dai francesi; e trovandosi di fronte ai tradimenti omicidi e mortali degli stalinisti, che liquidarono sistematicamente i trotzkisti e tutti gli altri movimenti di opposizione subito dopo la seconda guerra mondiale.

Continuamente molestato dalla polizia coloniale francese a Saigon e rischiando di venire assassinato dagli Stalinisti se si fosse avventurato nella campagna, Van emigrò in Francia nel 1948. Come descritto nella seconda parte del libro, divenne un operaio di fabbrica, lottò contro la tubercolosi, si dedicò alla pittura, e scoprì nuove prospettive politiche. I suoi incontri con gli anarchici, i consiliaristi e i marxisti libertari riconfermarono gli aspetti più radicali delle sue esperienze precedenti, verificando allo stesso tempo i suoi sospetti crescenti sul fatto che ci fossero problemi significativi con il Trotzkismo, come per lo Stalinismo. Da quel momento in poi, Van proseguì le sue attività come radicale indipendente, più o meno nella tradizione comunista-consiliarista, sia partecipando alle lotte operaie di base sia scrivendo articoli sulla  politica e sulla storia dell’Asia orientale.

Dopo il suo ritiro nel 1978, Van dedicò i successivi diciassette anni alle ricerche e alla scrittura della sua storia monumentale, Vietnam 1920-1945: révolution et contre-révolution sous la domination coloniale. A seguito della pubblicazione di questo libro, nel 1995, scrisse un racconto autobiografico parallelo allo stesso periodo: Au pays de la Cloche fêlée (2000). Poi, finito di ultimarlo, tornò a dedicarsi alla sua storia più “oggettiva” del Vietnam moderno. (Qui bisogna ricordare che, oltre alle sue opere sulla storia vietnamita, Van è anche autore di due studi sulle correnti radicali nella Cina antica, e inoltre ha messo insieme una collezione di racconti popolari vietnamiti. Consultare la Bibliografia per maggiori informazioni su queste e altre pubblicazioni.)

Dopo aver completato il secondo volume della sua storia del Vietnam, Le Joueur de flûte et l’Oncle Hô: Vietnam 1945-2005, Van ritornò sulla sua autobiografia, immaginando una continuazione che avrebbe compreso i suoi anni in Francia. Purtroppo non visse abbastanza a lungo per completare quest’ultimo progetto. Morì il 2 gennaio 2005, all’età di 92 anni. In seguito, nello stesso anno, i suoi editori, Insomniaque, pubblicarono un volume commemorativo, Au pays d’Héloïse, includendo i capitoli che aveva completato (principalmente riguardanti la sua vita durante gli anni ’50) insieme a diversi articoli, a numerose fotografie e ad una selezione dei suoi incantevoli dipinti, molti dei quali sono riprodotti nel presente volume.

* * *

I movimenti anticoloniali sono stati a lungo una fonte di ricatto politico. Le persone che vengono a conoscenza degli orrori del colonialismo generalmente sanno poco altro sui paesi coinvolti, e spesso sono state pronte ad applaudire qualsiasi leadership apparentemente “progressista”, sostenendo pratiche omicide che non si sarebbero mai sognate di difendere se queste avessero avuto luogo in un paese occidentale moderno. La critica sociale radicale è stata scoraggiata dall’argomentazione secondo la quale persino criticare i più brutali regimi del Terzo Mondo significava “fare il gioco delle potenze imperialiste”. Inoltre, in molti casi, gli apologeti sono addirittura stati capaci di sostenere che, nonostante i difetti deplorevoli, quei regimi fossero l’unica possibilità, e che non c’erano altre alternative.

Però non sempre fu così. I lettori de La tragedia della rivoluzione cinese sono consapevoli che la Cina non era necessariamente destinata a diventare Stalinista (cioè Maoista); c’erano altre correnti e altre strategie che avrebbero potuto portare a risultati diversi. Lo stesso vale per molti altri paesi, Vietnam compreso. Il Partito comunista di Ho Chi Minh non era affatto l’unico movimento di opposizione serio; alla fine è riuscito a diventare tale solo grazie allo sterminio brutale, distruggendo ed eliminando spietatamente tutti i suoi rivali. I libri di Ngo Van testimoniano che c’erano molte altre possibilità.

Non c’è nulla di eccentrico o esagerato in questi libri. Sono scrupolosamente accurati e documentati in modo esauriente, e si possono trovare verifiche della maggior parte del contenuto in molte altre fonti affidabili. Ma per fare questo, bisognerebbe ricercare a lungo e profondamente, guardando attraverso l’immenso ammasso di menzogne e distorsioni che ruotano attorno a questo argomento. Van ha riunito il tutto in un racconto coerente e chiaro nella sua cronaca storica in due volumi (ancora non tradotti), poi ha narrato gli stessi eventi in una maniera più breve e più personale nell’autobiografia che vi presentiamo qui.

* * *

Ho incontrato Ngo Van a Parigi nel 2001, assieme alla sua amica Hélène Fleury, e durante le settimane successive li ho rivisti ancora parecchie volte. Anche se non ho potuto conoscere Van tanto profondamente in un così breve lasso di tempo, siamo diventati quasi subito carissimi amici.

Coloro che hanno avuto il piacere di conoscerlo saranno d’accordo sul fatto che, malgrado gli orrori che aveva subito e nonostante la sua mancanza di illusioni sulla natura violenta dell’ordine sociale attuale, Van era la persona più gentile e più dolce che si potesse immaginare. Il suo spirito di ribellione proveniva non solo da una rabbia giustificata contro la povertà, contro la meschinità e contro l’oppressione, ma anche dal suo profondo amore per la vita. Egli fu una personalità completa e di grande portata: un bon vivant a proprio agio negli scambi vivaci e nei dibattiti aperti nei bar e nei caffè parigini, ma era anche in grado di apprezzare in silenzio la natura e la solitudine; un operaio di fabbrica che era allo stesso tempo un’artista e un conoscitore della letteratura classica; un agitatore radicale che era anche uno storico radicale; una persona decisamente antireligiosa che tuttavia possedeva uno stoicismo e un’equanimità quasi buddiste, e che in definitiva divenne uno specialista dei movimenti religiosi dell’Asia Orientale; un uomo del popolo, modesto e senza pretese, che possedeva ancora  una grande nobiltà di carattere. È stato un vero piacere conoscerlo, ed è stato un piacere lavorare con Hélène e gli altri traduttori per presentare la sua opera ai lettori anglofoni.

KEN KNABB
Agosto 2010

 


NOTA

     * Alcune fonti web danno l’impressione fuorviante che ci fosse una notevole influenza anarchica nelle lotte vietnamite durante le prime fasi iniziali. Ma un esame più approfondito, rivela in genere che la presunta connessione è estremamente sottile. Il leader anticolonialista pioniere Phan Boi Chau, per esempio, viene a volte indicato come “un sostenitore dell’anarchismo” solo perché “il suo pensiero rifletteva alcuni temi decisamente anarchici, in particolare l’anti-imperialismo e l’azione diretta”, e perché era in buoni rapporti con alcuni anarchici che aveva incontrato in Giappone e in Cina — sebbene fosse altrettanto in buoni rapporti con i monarchisti, coi nazionalisti, coi socialisti e coi militaristi, e le organizzazioni da lui fondate non sostenevano e non si auspicavano nulla di più radicale di una monarchia costituzionale o di una repubblica democratica. Il suo obiettivo primario era quello di scacciare i francesi; i gruppi politici e le ideologie lo interessavano solo nella misura in cui avrebbero potuto contribuire a tale scopo. Fino alla sua tarda vecchiaia, aveva manifestato poco interesse perfino per il socialismo, quindi figurarsi per l’anarchismo. (Per ulteriori informazioni su Phan Boi Chau, vedi nota 155.)
     Diverso invece è il caso di Nguyen An Ninh. La sua prospettiva romantica ed eclettica riflette effettivamente una certa influenza anarchica (presa direttamente dall’esperienza dei suoi anni a Parigi). Questo anarchismo era mischiato con una varietà di altre correnti filosofiche e culturali europee, da Rousseau a Nietzsche, e dal momento che Ninh era una figura molto popolare e carismatica, quei temi avevano indubbiamente avuto una certa influenza nel corso degli anni ’20, in particolare tra i giovani più istruiti dei centri urbani. Radicalism and the Origins of the Vietnamese Revolution di Hue-Tam Ho Tai fornisce una buona spiegazione del fermento culturale di quel periodo, che è servito come un preludio alle lotte più direttamente sociali e politiche degli anni ’30.
     L’unico anarchico vietnamita esplicito menzionato nel presente libro è Trinh Hung Ngau. (Altre fonti lo descrivono come un “nazionalista con tendenze anarchiche”.) Dalle informazioni di Ngo Van, risulta che abbia partecipato al movimento Jeune Annam (1926) e al quotidiano L’Annam (1926-1928) e che sia stato uno dei fondatori di La Lutte (1933); ma si ritirò da quest’ultimo dopo il terzo numero “perché si era trovato nell’impossibilità di esprimere il suo ideale anarchico all’interno del giornale” (Vietnam 1920-1945, p. 212). In seguito ha preso parte al movimento del Congresso Indocinese [Dai Hoi Dong Duong] (1936-1937).



Versione italiana di Introduzione al libro di Ngo Van In the Crossfire: Adventures of a Vietnamese Revolutionary (AK Press, 2010). In the Crossfire è una traduzione di Au pays de la Cloche fêlée di Ngo Van (Paris: L’Insomniaque, 2000) e di brani tratti da Au pays d’Héloïse di Ngo Van (L’Insomniaque, 2005). È stato curato da Ken Knabb e Hélène Fleury e tradotto da Hélène Fleury, Hilary Horrocks, Ken Knabb e Naomi Sager.

Traduzione dall’inglese di Van Thuan Nguyen.

No copyright.

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