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Riflessioni preliminari sulla Guerra del Vietnam


A partire dall’offensiva del Tet,* l’agitazione mistificatrice della propaganda non ha cessato di intensificarsi. Mentre il gioco al massacro continua a circa 10.000 km di distanza, i giornali e le televisioni di tutto il mondo godono di questo e si dilettano quotidianamente nutrendosi di immagini sensazionaliste che rivelano un’intollerabile carneficina alla quale il pubblico si sta sempre di più abituando. Questo lavaggio di cervello a doppio senso aiuta le persone a morire, o a veder morire i morenti, se la loro sensibilità non è già stata completamente addormentata da questo disastro che diventa inesorabilmente sempre più profondo e terribile.

I giovani americani vanno a morire nelle risaie e nelle colline del Vietnam, e finiscono per marcire sotto il fuoco dei missili russi o cinesi, per difendere il “Mondo Libero” del dollaro e delle basi militari nel Pacifico. I giovani vietnamiti, volenti o nolenti, vengono mandati al macello in un campo o nell’altro, in nome dell’ “indipendenza nazionale”, della “liberazione nazionale”, o del “socialismo.” etc. Prima o poi la strage cesserà, quando “la pace” verrà dichiarata dai padroni degli stati contendenti. Gli americani sopravvissuti ritorneranno nelle fabbriche, negli uffici e nelle aziende agricole del loro paese; i veterani invalidi, coloro che sono rimasti senza braccia o senza gambe, si trascineranno per il resto della loro decorata esistenza. Dall’altra parte del globo, gli “eroi della resistenza” — i contadini e i lavoratori vietnamiti — ritorneranno nelle risaie o saranno gettati nelle fabbriche della nuova industrializzazione, per poi perdere ben presto qualsiasi illusione essi possano aver avuto. Né il regime capitalista in stile americano né il capitalismo di Stato di Ho Chi Minh metteranno fine alla loro situazione di sfruttati sottomessi ad una dittatura di uno Stato di polizia. Se la borghesia e i proprietari terrieri verranno cacciati, la burocrazia continuerà a portare avanti lo stesso sfruttamento con un’efficienza ancora maggiore.

La guerra del Vietnam fa parte della guerra permanente tra i due blocchi capitalisti della società attuale; oggi come ieri, la posta in gioco di questa lotta è il dominio del mondo, e sostanzialmente è la stessa che in passato, come nelle guerre mondiali del 1914-1918 e 1939-1945. Ciò che nasconde questo aspetto fondamentale è la cooptazione, il recupero e la manipolazione delle rivolte contadine anti-imperialiste che sono scoppiate in Vietnam e altrove quando le strutture coloniali crollarono dopo la seconda guerra mondiale. Queste “guerre dei contadini” hanno portato al potere, con il consenso diretto o indiretto delle grandi potenze, i partiti — nazionalisti borghesi o “comunisti” — i quali si sono imposti come burocrazia dominante, convertendo i contadini ribelli in truppe gerarchicizzate la cui lotta ha in definitiva recato vantaggio ad uno o all’altro blocco. Le cosiddette guerre di “liberazione nazionale” consentono alle due opposte potenze della Guerra Fredda di testare le loro rispettive forze, senza andare direttamente in guerra tra di loro. I nuovi stati nazionali di recente formazione costituiscono niente di più che un cambiamento nella forma di sfruttamento.

Gli Stati Uniti, perseguendo una politica di coesistenza con la Russia e i suoi satelliti, accettano tacitamente il fatto che la Russia stia neutralizzando l’influenza della Cina fornendo dosi prescritte di armi ad Ho Chi Minh e al Fronte di Liberazione Nazionale (FLN). I russi, dal canto loro, non hanno alcun motivo di temere il protrarsi di una guerra spietata che dissangua l’America continuamente. Questo bagno di sangue offre inoltre un’opportunità favorevole per la Cina, che sta cercando di diventare una grande potenza: la lotta dei due avvoltoi più grandi per aggiudicarsi la carogna dà alla Cina il tempo di mettere a punto le sue armi atomiche e di prepararsi per gettarsi nella mischia nel Sud-est asiatico.

Per quanto riguarda la classe operaia, fintantoché la sua esistenza non è direttamente minacciata, rimane indifferente ai disegni distruttivi dei suoi padroni. L’esperienza delle ultime due guerre mondiali è tragica ma istruttiva: la maggioranza dei lavoratori, come la maggior parte delle altre persone, ha marciato dietro la bandiera dei loro sfruttatori in ogni fronte, nonostante l’eroica resistenza di una manciata di lavoratori e di intellettuali rivoluzionari.

Negli Stati Uniti, la partecipazione attiva di studenti, intellettuali e hippies nel movimento contro la guerra, per quanto significativa, è impotente senza il sostegno della classe operaia. In quanto i sindacati americani sono complici delle politiche di Johnson.

In Europa, gli intellettuali ingoiano e rigurgitano le menzogne dello schieramento cosiddetto “comunista”. Quando persone come Sartre e Bertrand Russell blaterano sul processo di Norimberga per denunciare l’ “aggressione” americana e i “crimini di guerra”,* non condannano la guerra in quanto tale. Si rifiutano di contestare il contenuto sociale di un conflitto che, lungi dal liberare i lavoratori e i contadini, non può portare a nient’altro che a un cambio di padroni; essi adottano il gergo legalistico in voga sin dall’ultima guerra, conferendogli nuova credibilità invece di denunciarlo come una menzogna. In realtà, gli schiavi mandati a morire sono soltanto le pedine e le vittime della barbarie di entrambi gli schieramenti. Che senso hanno per loro le parole “aggressione” e “crimini di guerra”, quando la pace e la guerra sono decise esclusivamente dai loro padroni indipendentemente dalla loro volontà? Dobbiamo forse credere che questi signori, che esortano gli altri alla resistenza fino allo sterminio totale, sarebbero soddisfatti se la guerra fosse stata combattuta con baionette e fucili al posto del napalm, delle bombe a grappolo e dei gas velenosi, o se le bombe dei B52 fossero state sganciate sui combattenti invece di essere usate per radere al suolo interi villaggi e per ridurre a brandelli donne e bambini?

Tutti quanti sono sensibili all’immagine diffusa dalla propaganda di sinistra orchestrata dagli stalinisti, che rappresenta il Nord nei panni di “Davide che sconfigge Golia”; tutti sono scioccati dalla distruzione; tutti simpatizzano con le sofferenze di una popolazione crudelmente afflitta dagli ultimi 28 anni; e tutti applaudono ingenuamente l’eroismo dei combattenti senza rendersi conto che l’eroismo guerrafondaio può mascherare ogni tipo di schiavitù e tirannia. Da qui deriva la tendenza generale a pensare che la vittoria di Ho Chi Minh e del FLN sull’America riporterebbe nel mondo una pace “equa”. Il Partito comunista francese ha tratto il massimo vantaggio da questo sentimento popolare, soprattutto dopo gli ultimi sviluppi: ad Hanoi, Waldeck-Rochet ha seguito lealmente la linea della Russia, servendo quindi accidentalmente la politica di De Gaulle.*

L’unico modo per fermare veramente questa strage e prevenire ogni possibilità di ulteriori genocidi è attraverso un risveglio e una presa di coscienza da parte dei lavoratori di tutto il mondo. La lotta contro la guerra deve provenire dai lavoratori degli Stati Uniti e dagli operai e contadini del Vietnam, e deve essere parte integrante della lotta emancipatrice contro il capitale, sia “democratico” che “comunista”. Anche se a malincuore dobbiamo ammettere che attualmente non vediamo emergere nessuna di queste prospettive, tuttavia non dovremmo lasciare che nulla ci impedisca di combattere le mistificazioni che nascondono il vero volto di questa guerra, una guerra le cui vittime sono, come sempre, gli operai e i contadini.

NGO VAN
Aprile 1968

 



NOTE

1. Offensiva del Tet: una campagna militare coordinata a livello nazionale lanciata dai Vietcong il 30 gennaio 1968 (Capodanno vietnamita). Anche se la campagna fu disastrosa in termini di perdite nel fronte dei Vietcong, tuttavia ha avuto successo nello shockare e demoralizzare il pubblico americano, rendendo più difficile per il governo americano dichiarare che la vittoria fosse proprio dietro l’angolo.

2. Allusione al Tribunale internazionale contro i crimini di guerra (1966-1967) organizzato da Bertrand Russell e Jean-Paul Sartre.

3. Il “sentimento popolare” fu un esteso e diffuso anti-americanismo, non solo da parte dei sostenitori del Partito comunista francese, ma anche da parte del presidente De Gaulle che stava cercando di ritagliarsi una posizione indipendente (ad esempio, con il ritiro della Francia dalla NATO) e nel contempo di avvicinare maggiormente la Francia al blocco comunista.
 


Versione italiana di Reflections on the Vietnam War di Ngo Van. Traduzione dall’inglese di Van Thuan Nguyen.

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